Lezioni e Interviste & Prof. Eugenio Borgna - I parte

"Oltre il deserto dei significati: dialogo e ermeneutica

Eugenio Borgna è libero docente in Clinica delle malattie nervose e mentali dell’Università di Milano ed è stato per molti anni primario del servizio di Psichiatria dell’Ospedale Maggiore di Novara. E’ considerato uno dei riferimenti fondamentali in Italia della corrente fenomenologica in psichiatria e negli anni passati ci ha onorato della sua presenza nella Scuola Superiore di Counseling Filosofico. Qui riportiamo la trascrizione di alcuni momenti della sua lezione.

Prima parte / Seconda parte

All‟interno del panorama contemporaneo esistono molte psichiatrie, che si possono distinguere e riassumere, fondamentalmente, in due grandi categorie.

La psichiatria biologica o biologistico-organicistica

La prima è costituita dalla psichiatria biologistico-organicistica, che nega ogni importanza al contatto medico-paziente, alla relazione, al dialogo e alla percezione del «linguaggio del corpo», che talvolta è assai più importante e più decisivo, anche ai fini della diagnosi, del «linguaggio della parola» (con le luci e le ombre che si celano dentro-dietro ai significati, a volte visibili e a volte inafferrabili, delle parole).
Ma se la psichiatria, in sostanza, si riduce a una ricerca di fondamenti biologici – al di là dell‟importanza assunta oggi dagli psicofarmaci, che in talune forme cliniche si rivelano indispensabili, e in un certo senso contribuiscono a svuotare di senso le psichiatrie non biologistiche – è costretta a trascurare alcune fondamentali sfere di significato quali sono appunto quelle del dialogo, del colloquio, dell‟ascolto e dell‟interpretazione ermeneutica, che possono essere colte solo dall‟intuizione, dalla passione, e non certamente dalla ragione fredda e astratta.
A questo proposito, Leopardi, uno dei più grandi filosofi italiani, nello Zibaldone scriveva che soltanto quando la ragione si trasforma in passione può raggiungere quegli orizzonti, quei significati e quei confini che la ragione, da sola, non potrà mai cogliere, e ai quali non si potrà mai neanche avvicinare.
La psichiatria biologico-organicistica, e la farmacopsichiatria, significano allora indifferenza nei confronti dei significati e delle interpretazioni dei significati, con conseguente riduzione del senso stesso del dolore e della sofferenza.
Le emozioni fanno parte della sofferenza, e l‟angoscia, come la gioia, devono rappresentare il criterio-parametro su cui fondare la conoscenza della sofferenza psichica e della stessa diagnosi che, in psichiatria, riveste un‟importanza solamente circoscritta; una buona diagnosi, infatti, può essere eseguita anche dagli infermieri, alla sola condizione che abbiano una qualche attitudine all‟osservazione e all‟analisi di se stessi, e abbiano imparato a cogliere le incrinature dell‟anima che rappresentano il nocciolo essenziale di ogni forma di angoscia, di tristezza, di sofferenza e anche di dissociazione.
Il comportamento come criterio esclusivo per le diagnosi, per capire quali siano gli abissi roventi, l‟angoscia e la sofferenza di una persona, è la controparte dell‟ascoltare come perdita di tempo.
Emil Kraépelin, grande psichiatra tedesco, al quale la psichiatria deve la sua posizione “scientifica”, ha scritto che non vale assolutamente la pena di ascoltare che cosa un paziente dica, quali siano le voci attraverso le quali si esprime la sua sofferenza, e quali le voci che a volte riempiono una condizione di solitudine e di vuoto. E anche se queste stesse voci potrebbero essere interpretate come dotate di un contenuto e di un nocciolo psicologico ed esistenziale, spesso vengono ricondotte dentro una visione-alterazione organica, e quindi risolte dentro la definizione, molto arida, di “allucinazione”.
Ascoltare un paziente viene allora considerato come una perdita di tempo, e la stessa interpretazione viene considerata affatto inutile (nonostante quanto affermava Nietzsche secondo cui non esistono fatti, ma soltanto interpretazioni di fatti).
Credo che sia necessario, allora, una buona dose di coraggio e di temerarietà al fine di sfidare lo spirito del nostro tempo, costituito dalla farmacopsichiatria oggi dominante e dai vari DSM, che si astraggono in una dimensione essenzialmente concettuale e teorica – come è già stato detto per le psichiatrie biologiche-biologistiche – e in una sorta di indifferenza ideologica e culturale infinitamente pericolosa ai fini della formazione personale, e della stessa comprensione del significato dello stare male e della sofferenza generata da una depressione o da una condizione psicotica.
Ma se dentro il cuore della psichiatria biologica pulsa, comunque, una propria Weltanschauung – più o meno discutibile, in quanto legata a concezioni che possono essere accettate o contestate nel cuore del DSM non pulsa niente, ed emerge solamente una drammatica congelazione delle emozioni di chi cura e di chi è curato.
Mentre, in questo contesto, ciò che mi sembra rivestire una certa importanza risiede soltanto nell‟osservazione, senza la quale temo che non si possa fare psichiatria, psicologia, counseling filosofico, e nemmeno quella psicologia della vita quotidiana che sta a fondamento delle relazioni umane; anche perché spesso, dalla mancata contemplazione psicologica delle strutture portanti della vita quotidiana, nascono non solo le incomprensioni, ma anche la violenza e la negazione del senso.

La psichiatria ermeneutica

La seconda categoria in cui si scinde la psichiatria è rappresentata dalla corrente fenomenologico-esistenziale che, con la psicoanalisi junghiana e freudiana, rientra nell‟area delle discipline ermeneutiche. La grande rivoluzione apportata da quest‟altra psichiatria – certamente legata ai rischi che si corrono qualora la conoscenza non segua i sentieri abbaglianti e solari della ragione astratta – è costituita dalla trasformazione e dal passaggio, in ambito psichiatrico, dalla pura conoscenza razionale ad una conoscenza che potremmo definire «intuitiva». L‟intuizione è stata condotta nel cuore della psichiatria da filosofi come Agostino, Pascal, ma anche da Husserl, e dal grande movimento filosofico che, partendo dal filosofo tedesco, è arrivato a Max Scheler e a Martin Heidegger.
Io non sono un filosofo, ma leggo i testi di filosofia cercando di far emergere da essi qualcosa che possa rivestire un significato umano e anche, almeno vagamente, un qualche significato terapeutico e affine alla mia professione. Attualmente lavoro all‟ospedale psichiatrico di Novara, a stretto contatto con destini umani segnati-sigillati da condizioni di sofferenza e di malattia, che vengono ancora oggi da taluni considerati senza «senso» (è questo, ahimè, il pregiudizio dominante!).
Come intimamente legata all‟intuizione e alla conoscenza intuitiva, dunque, la psichiatria ermeneutica ha aperto le finestre delle sue monadi all‟esterno, e ha cercato di trasformarsi da un‟arida e semplice elencazione diagnostica di sintomi in un‟alleanza con quella che è la «psicologia della vita quotidiana», perdendo il contatto con la quale la psichiatria stessa finisce col perdere e col destituirsi di ogni vero significato e, soprattutto, di ogni vero orizzonte terapeutico.
Come Loro sanno, la psichiatria è nata in Germania, anche se poi è emigrata in America, dove ha assunto forme di applicazione assai discutibili, che inceneriscono la psichiatria come ricerca di senso. A questo proposito, K. Schneider, ha scritto che soltanto se la psichiatria utilizza il linguaggio della vita quotidiana, se cioè cerca di cogliere fino in fondo le creazioni che sono vive e palpitanti soltanto nel linguaggio quotidiano – che poi è il linguaggio delle emozioni, indipendentemente da ogni schematizzazione e istituzionalizzazione – può trasformarsi in un‟autentica relazione d‟aiuto.
Ora, la psichiatria, la psicologia, il counseling filosofico e, in generale, tutte le relazioni umane, si confrontano costantemente con emozioni che possono talvolta impazzire, ma che tuttavia non perderanno mai quella che è la connotazione radicale di ogni emozione, ovvero quella di condurci al di fuori dei confini autistici in cui rischiamo sempre di finire – in una relazione continua con gli altri, e con il mondo delle persone e delle cose. Mentre la ragione è imprigionata negli steccati di un gretto individualismo, a volte anche feroce, le emozioni e le passioni ci aprono necessariamente a una trascendenza continua, cioè all‟ essere-nel-mondo-degli-altri.
«In-der-Welt-Sein»: questa formula heiddegeriana, apparentemente così ovvia e banale, ha cambiato il modo di essere della psichiatria, e attraverso le riflessioni sulla trascendenza e sull‟intersoggettività ha certamente contribuito alla nascita di una «psichiatria sociale».

L‟interiorità

Nell‟area della psichiatria, nelle sue varie dimensioni e sfaccettature, ma anche nell‟area della psicologia e in quella del counseling filosofico – al quale Loro si sono avvicinati grazie a questo Corso diretto da Lodovico Berra – rivestono una grande importanza i temi delle emozioni, della intersoggettività e dell‟intuizione, ma anche e soprattutto il tema della capacità, del coraggio e della temerarietà di guardare dentro di sé. In fondo, il cammino misterioso della conoscenza porta verso l‟interno, verso la propria interiorità, anche se alcuni medici non sanno neanche cosa sia la propria vita interiore né, tanto meno, la vita interiore degli altri.
E la conoscenza che abbiamo di noi stessi non è – io spero – qualcosa di matematico, qualcosa di mummificato, di marmorizzato, ma una conoscenza “intuitiva”, appunto, che cambia di istante in istante.

L‟ attesa, il corpo, Heiddeger e la psichiatria

L‟attesa è un‟altra delle parole emblematiche della psichiatria ermeneutica. Attendere significa, intanto, cercare di cogliere-accogliere il linguaggio del silenzio, ma anche aspettazione che nascano le parole e che rinasca il linguaggio del corpo (secondo un‟altra grande scoperta della fenomenologia di matrice husserliana).
M. Heidegger rivolge grande attenzione al tema corpo: in Essere e tempo vi dedica solo alcune righe (senza peraltro distinguere tra corpo-Leib e corpo-Körper), ma ritorna sull‟argomento nei «Seminari di Zollikon». Si tratta di ventuno seminari ai confini tra filosofia e psichiatria, tenuti a Zurigo e promossi da Medard Boss, psichiatra e psicoanalista svizzero di formazione freudiana, nel quale Heidegger nutriva una fiducia assoluta; non si può dire altrettanto, invece, per Ludwig Binswanger, che il filosofo tedesco non apprezzava affatto. Boss e Binswanger sono le testimonianze di un diverso modo d‟interpretare l‟ermeneutica in psichiatria.

Ascolto, immedesimazione, identificazione

Mi sembra evidente che non ci sia relazione umana che non debba partire dall‟ascolto dell‟altro, che intanto significa riuscire a conciliare le percezioni che abbiamo di un‟altra persona con la percezione delle risposte possibili che da questa persona ci vengono date.
A questo proposito, Max Scheler differenzia l‟immedesimazione – che è qualcosa che ci mette in gioco in ogni momento – dall‟identificazione, e afferma che se è assai faticoso e temerario immedesimarsi negli altri, è forse più facile identificarsi, semplicemente, negli altri. Mentre l‟identificazione, infatti, oltre a essere qualcosa di pericoloso da un punto di vista psicologico, crea, che si voglia o no, una situazione di dipendenza in chi ascolta, una sorta di corto circuito, l‟identificazione è meno dialettica e crea meno problemi rispetto alla prima , che è infinitamente più plasmabile, più fluida e osmotica.
Queste idee, sostenute, tra gli altri, da Binswanger, possono forse sembrare quanto mai astratte, ma sono state utilizzate da Basaglia in quella che può essere considerata una rivoluzione epocale della psichiatria.

I “sentieri interrotti” e le alleanze filosofico-letterarie della nuova psichiatria

Quando incontro persone che abbiano nei loro cuori le ombre del dolore, dell‟angoscia, della tristezza e della perdita di conoscenza dei paesaggi stessi in cui vivono – questo scatenamento e svuotamento delle emozioni che possiamo cogliere anche nel cuore delle esperienze che facciamo quotidianamente, nelle cose che vediamo, ma anche nei villaggi che attraversiamo – i sentieri che io seguo – utili oppure inutili – sono quelli «interrotti» e «zigzaganti» di cui parlava Martin Heidegger. Non faccio riferimento, dunque, ai temi della psichiatria applicata e della psichiatria clinica, ma a quella dimensione, che qui sto cercando in qualche modo di delineare, che si unisce alla psicologia, al senso comune, e alle scienze letterarie e soprattutto filosofiche.
La filosofia e il linguaggio, a volte quasi incredibile, di Husserl e della Fenomenologia, per esempio, hanno consentito alla psichiatria, in generale, di trasformarsi; trasformazione che è stata avvertita meno in Italia, anche perché nel nostro Paese la psichiatria è sempre stata considerata, e lo è ancora oggi, come «l‟ultima ruota del carro». Una svolta in questa direzione è stata attuata da Enrico Borselli o Ferdinando Barrison che, nel tentativo di dare un‟anima alla psichiatria, l‟hanno trasformata in psichiatria della vita interiore, dell‟ascolto, dell‟intersoggettività, dell‟intuizione e del linguaggio del corpo (che, come indicavano già Jaspers e Binswanger, è la sola tra le psichiatrie possibili).
Qual è il linguaggio del corpo? Il mio sguardo è qua, ma è anche – se voglio – gettato al di là di queste finestre, sulle montagne che circondano Torino. Questo è il linguaggio del corpo-Leib, del corpo che vede, riscoperto da Husserl e poi condotto nel cuore della psichiatria da psichiatri rigorosissimi come Binswanger, Minkowski e Von Gebsattel. Anche la poesia può rivestire un certo ruolo in psichiatria: penso al «pensiero poetante» di Leopardi - che è un pensiero poetico ma anche, essenzialmente, filosofico e psicologico - che mi sembra dimostrare come sia possibile far cadere le barricate che si tendono a creare tra discipline che dovrebbero essere considerate come «sorelle».

Il «Sentimento» tra scientificità e interiorità

E domando, allora: come ascoltare, come interpretare, come guardare dentro di noi, e come trasformare un dialogo spensierato, mondano, un colloquio fatto di semplici impressioni in qualcosa che possa lasciare una traccia, qualcosa di realmente significativo dentro di noi?
Ogni colloquio, sia psicopatologico, sia psicologico e sia relazionale, dovrebbe sempre essere segnato dalla ricerca, che in parte è anche un‟attitudine, a conoscere e riconoscere i sentimenti che proviamo. E se Max Scheler, da una parte, esprime la convinzione secondo cui la trasformazione dei sentimenti che nutriamo nel corso di questo divenire rappresenta il background di ogni nostro modo di incontrarci, dall‟altra emerge una certa tendenza a considerare i sentimenti, le emozioni e le sofferenze come qualcosa di insignificante, banale, e come fondamentalmente estranee a un pensiero rigoroso-scientifico qual è anche quello della psichiatria.
Ricordando la famosa distinzione diltheyana tra scienze umane e scienze naturali, e tra l‟ideale delle prime che è il rigore, e l‟ideale delle seconde che è l‟esattezza, non è inimmaginabile e impensabile che le cose che sto dicendo – in riferimento al fatto che le scienze umane possano rinascere all‟interno della psichiatria, anche intesa come psichiatria sociale – possano essere misconosciute, contestate e rifiutate sulla base degli schemi (e dell‟ideologia) delle scienze naturali e dell‟esattezza. Ovviamente, è necessario escludere da questo discorso la parte della psichiatria che, senza dubbio, non possiamo sottrarre ai rigorosi criteri delle scienze naturali, e dobbiamo ammettere che talvolta questo “riduzionismo naturalistico” risulti indispensabile.
In realtà, al di là di questo riduzionismo, ne esiste anche un altro che potremmo definire “ermeneutico”, il quale, tuttavia, non potrà mai provocare le catastrofi prodotte dal primo, che in Germania ha portato all‟Olocausto e allo sterminio di 150.000 pazienti diagnosticati come schizofrenici inguaribili e incurabili, o, come sono stati definiti da un certo psichiatra tedesco, come «gusci vuoti».
Le attitudini individuali all‟analisi interiore, all‟intuizione, al cogliere le essenze, non solo nei modi di essere delle persone, ma anche nei loro modi di provare dei sentimenti e delle emozioni - è stato Binswanger a dirlo e scriverlo – possono certo essere descritte e rappresentate “scientificamente”, ma possono anche essere soltanto scorte nelle ombre di un pensiero che, solo apparentemente divagando, esprime la convinzione secondo cui soltanto attraverso la divagazione si possa sfuggire al rischio del monologo, al punto di vista pseudo-oggettivo, oggettivato e radicalizzato, e che percorre «sentieri conoscitivi» che alludono, e che lasciano alla capacità interpretativo-ermeneutica di ciascuno di noi la loro decifrazione.
La nostra vita interiore, e la vita interiore del paziente che si esprime sotto forma di sentimenti, emozioni, percezioni, pensieri e immaginazioni: sono questi, fondamentalmente, gli oggetti della psichiatria, della psicologia applicata e del counseling filosofico.
Tutto qua? Sì.
Ovviamente, alla luce di questa comunicazione continua, insieme all‟intuizione e al sentimento ci si deve servire anche della percezione razionale delle cose, tentando di attuare quel continuo connubio tra intelligenza e istinto che sta alla base del nostro modo di intendere la psichiatria e, in generale, tutte le relazioni d‟aiuto.

Guardare l‟invisibile e ascoltare l‟indicibile

In un ospedale psichiatrico il medico si confronta ogni giorno con emozioni impazzite, con cuori lacerati e con desideri di morte e del morire, che credo rappresentino l‟esperienza più dolorosa, la spada di Damocle che ricade sulla testa di chiunque si occupi di psichiatria, di psicologia e di counseling filosofico. Ma non sempre chi sta vicino alla persona sofferente ha la capacità di percepire l‟invisibile e l‟inafferrabile che si cela dietro alle maschere sovrapposte ai volti dei pazienti (ma anche ai nostri), che diventa indispensabile sfilare e rimuovere.
Concetti, parole vaghe e astratte?
Sì, forse, ma dipende dai punti di vista. Muovendosi nel solco di queste tesi, e da questo pre-giudizio della psichiatria ermeneutica e sociale come emblema della de-scientificità – continuo – da questi temi, così penombrali, è scaturita la rivoluzione psichiatrica che ha cambiato gli scenari della violenza e della iatrogenesi che hanno caratterizzato legioni di psichiatri e infinite mura di ospedali, dentro i quali dominavano soltanto la fredda osservazione e l‟analisi esteriore dei comportamenti (che sono, certamente, gli atteggiamenti più facili e più semplici da attuare, rispetto al “perdere tempo” a guardare continuamente dentro di noi, e a cercare di adattare le cose che diciamo a quella che è la capacità di sintonia dell‟altro).
Ma, domando: queste cose possono essere insegnate?
Non credo; credo piuttosto che questi «atteggiamenti» si possono proporre solamente come un ideale, un dover-essere, dal momento che credo che nessuno di noi sia dotato di quell‟enorme capacità empatica che la sofferenza dell‟altro – e il destino di colui che ha conosciuto il cammino dell‟angoscia, della disperazione, delle speranze colpite mortalmente, della morte come kierkegaardiana “malattia mortale”, di questa percezione dell‟invisibile e indicibile – esigono.
Non possiamo limitarci, allora, a cogliere soltanto il lato dicibile delle cose che ascoltiamo, e quando incontriamo persone che chiedono il nostro aiuto, al di là di ogni connotazione psicopatologica, non dobbiamo credere che nell‟apparenza delle loro parole si mostrino solo significati certi e univoci.
E queste cose non si riferiscono solo a coloro che soffrono di schizofrenia o di depressione psicotica, ma una larga fetta della popolazione. Le statistiche, che senza dubbio talvolta impazziscono ma che comunque ci indicano qualcosa di vero e reale, indicano che il 20-25% delle persone soffrono o hanno sofferto, almeno una volta nella loro vita, di depressione (sono dati offerti da riviste tedesche molto serie).
Comunque, giuste o sbagliate che siano queste indicazioni, l‟ansia e la tristezza delle persone sono sentimenti con cui, chiunque si occupi di psicologia applicata – al di là di queste linee di differenziazione tra consulenza psicologica, consulenza psicopatologica e consulenza filosofica – deve confrontarsi, cercando di ri-vitalizzarsi e animarsi al fine di cogliere le apparenze e le ombre della tristezza che molto spesso non vengono espresse con le parole. Esiste dunque uno scorrimento continuo tra dicibile e indicibile, che non è solo una contrapposizione astratta, ma vitale, straziante e dolorosa.
Romano Manica, uno dei migliori giovani psichiatri che conosco, che ha lavorato con me e che ha scritto libri molto belli, parla di una psichiatria «umana e gentile», e ritiene che in questi due aggettivi dovrebbe risiedere anche la possibilità di definire le psicologie, le relazioni umane, e le richieste di aiuto che vogliono essere «significative». Cose certamente semplici da dire ma complicatissime da realizzare.

Lacrime e preghiere

È indispensabile, dunque, una continua ricerca dei sentimenti e delle emozioni che proviamo – insisto su questo – e uno sforzo continuo al fine di decifrare il linguaggio dei volti, dei gesti e anche delle lacrime. Il grande filosofo francese Jaques Derrida, ha scritto pagine bellissime sulle lacrime, e non bisogna cadere nel pregiudizio secondo cui coloro che si occupano di psichiatria non possano trattare il tema delle lacrime, pena l‟uscire dal solco del rigore scientifico. Chi fa psichiatria sa come i confini estremi della tristezza e della depressione siano segnalati dalle lacrime, e come queste siano il segno e la testimonianza della speranza, ancora viva, nutrita dalla persona che abbiamo davanti.
Il pianto (ma anche il fatto di non riuscire più a piangere) e il sorriso, che sono forse in qualche modo il limite dello spirito, se li decontestualizziamo dai nostri abituali criteri e parametri di lettura e di espressione, possono acquistare una dimensione semantica e psicologica che entra in gioco in una relazione che voglia essere aperta, e non chiusa dalle «muraglie cinesi» kantiane che impediscono di leggere negli occhi dell‟altro.

«Lo sguardo – diceva Proust – è la voce degli occhi».

E anche le pagine straordinarie che Minkowski ha scritto, ad esempio, sulla preghiera e sulla contemplazione, non devono essere considerate come anti-scientifiche, ma credo che dovrebbero entrare nel cuore di ogni relazione, non solo quella terapeutica, non solo quella clinica, ma anche, direi, nella dimensione metaclinica che Vi viene proposta nel corso di questa lezione. Del resto, guai a lasciarsi divorare dai modelli clinici matematici, e dai freddi e rigidi questionari psichiatrici.

Conclusione

Queste mie parole, secondo alcuni, forse, alquanto retoriche, nascono all‟interno di una psichiatria fantasmatica e lungo il «sentiero», senza dubbio un po‟ troppo impervio e selvaggio, che qui ho voluto percorrere con Loro.
Qual è la mia illusione? Che nel corso di questa lezione, al di là delle parole e dei pensieri, siano scaturite almeno alcune immagini, alcune metafore, senza le quali (e senza, in generale, il linguaggio metaforico) tutto si ridurrebbe a qualcosa di estremamente desolante, e certamente inconfrontabile con la sofferenza umana.