Il Counseling Filosofico nelle imprese del settore privato: applicazioni per la formazione alla leadership

Dr.ssa Jocelyne Hatzenberger *

Abstract
Proprio in questi tempi di crisi e pessimismo dilagante, il Counseling Filosofico può configurarsi come una relazione di consulenza destinata alle aziende private confrontate alla necessità di un radicale cambiamento per competere in un contesto di crescente incertezza e complessità. Vengono segnalate possibili aree di intervento consulenziale e di formazione manageriale, con particolare riferimento alla leadership.

L'urgenza del cambiamento per uscire dalla crisi
"Il miglior modo per prevedere il futuro è inventarlo" F. Ford Coppola
Per superare lo stato di crisi - "morale" e civile oltre che economica e finanziaria - che sta attraversando da ormai diversi anni l'Italia, ci sembra inevitabile operare profondi cambiamenti, non solo a livello istituzionale, ma anche e soprattutto a livello imprenditoriale.
I tradizionali vantaggi competitivi - su tutti: elevata flessibilità e reattività - del sistema-impresa nazionale, riconducibili alla originale composizione del tessuto imprenditoriale (nel 2011 su un totale di oltre 3,7 milioni di imprese, il 94,5% sono micro-imprese. Sono meno di 3.000 quelle che hanno più di 250 dipendenti), hanno rivelato importanti limiti: endemica fragilità finanziaria, scarsa propensione all'investimento e quindi all'innovazione, carente visione di medio e lungo termine, insufficiente valorizzazione del capitale umano.
La maggioranza delle piccole e medie imprese stanno sperimentando scenari di competizione economica in cui la lotta per la sopravvivenza assume non di rado la forma di una rincorsa al ribasso dei prezzi ed invocata come giustificazione della priorità assoluta data al taglio dei costi per arginare l'erosione dei margini.
Simili strategie di "ripiego" possono consentire di superare delle criticità temporanee, ma a lungo andare si corre il rischio di mettere al repentaglio il futuro stesso dell'azienda. L'assenza di progettualità si risolve allora in una "guerra dei poveri" di cui le imprese italiane, in competizione con attori provenienti da paesi a minor costo di manodopera con livelli qualitativi ormai praticamente equivalenti - o poco ci manca -, difficilmente possono uscire vincitrici. Basta uno sguardo alle statistiche dei fallimenti degli ultimi anni per farsi un quadro dell'evoluzione in atto.
Al contrario, gli studi realizzati sulle "eccellenze industriali italiane" mettono in rilievo il loro atteggiamento "pro-attivo" ed evidenziano quali fattori chiave di successo: l'innovazione e la ricerca, una cultura d'impresa orientata alla soddisfazione del cliente e la valorizzazione del capitale umano, tutti riconducibili quindi ad una dimensione di performance umana.
Nella prospettiva dell'EFQM (European Foundation for Quality Management Excellence Model) le realtà eccellenti "... sono dotate di una forte leadership, capace di attuare una visione delle strategie aziendali, coinvolgere e motivare i collaboratori, definire valori, principi, cultura, governance e struttura organizzativa dell'impresa o rimodulare tali fattori alle mutevoli esigenze del contesto esterno." (Carboni C., 2011, p. 41-42).
Le aziende eccellenti sono a parere nostro quelle che hanno compreso per tempo le loro debolezze e saputo intraprendere un percorso di cambiamento finalizzato all'apprendimento di nuovi e veloci modi di adattamento alle emergenze contingenti e alla costruzione di vantaggi competitivi durevoli, nonostante le ben note insufficienze del sistema paese. Un processo senz'altro arduo e votato all'insuccesso senza una "filosofia d'intervento", fatta da una chiara visione di medio e lungo termine, un'adeguata pianificazione delle modalità e della gradualità dei processi di trasformazione, una previsione degli ostacoli o delle resistenze e la messa in conto sistematica dell'imprevedibile.
Nacamulli e Boldizzoni evidenziano che dagli anni Novanta “[…] la sfida nel campo del management delle risorse umane sembra riguardare più l'area comportamentale che quella dei contenuti, vale a dire più il saper essere che il saper fare; il riferimento è a fattori quali il senso d'identità e di appartenenza organizzativa, la fiducia relazionale, la capacità di operare efficacemente in team, lo sviluppo dell'autoefficacia e dell'empowerment ecc.” (Nacamulli R. C.D., Boldizzoni D., 2011, p. 1).
È in questa ottica che vediamo per il Counseling Filosofico un potenziale ruolo decisivo di supporto consulenziale e formativo alle organizzazioni.

Possibili applicazioni del Counseling Filosofico nelle organizzazioni
Attualmente il Counseling Aziendale - e in misura minore il Counseling Filosofico - trova applicazione, spesso sotto forma di "consulenza alla persona", individuale o per i gruppi, in alternativa ad altre prestazioni d'aiuto quali psicologia del lavoro, counseling psicologico, counseling sistemico, coaching ecc... con le stesse finalità orientate alla riduzione del disagio (dovuto per esempio a: problematiche relazionali, difficoltà contingenti del lavoratore), alla soddisfazione lavorativa (politiche di retribuzione, percorsi di carriera...) e al miglioramento del benessere organizzativo (creazione di migliori condizioni obiettive di lavoro).
Le pratiche filosofiche però, e la Consulenza Filosofica in particolare, possono collocarsi nel panorama delle pratiche di consulenza e formazione aziendale in risposta all' "...incremento del fabbisogno di riflessività tanto nel rapporto degli individui con se stessi quanto nel rapporto di questi con le sfere dell'agire professionale e personale." (Contesini S., Frega R., C. Ruffini, S. Tomelleri, 2005, p. 1).
Diversamente dalle più note forme di consulenza fondate sul paradigma dell'expertise - che vedono il consulente impegnato in prima persona nella risoluzione delle problematiche poste dall'azienda cliente e dove egli applica le sue conoscenze specializzate, sostituendosi spesso agli attori interni -, un intervento di Counseling Filosofico si pone nella forma di una "consulenza di processo" a valenza intenzionalmente formativa, in cui le persone coinvolte vengono "aiutate ad imparare". Così concepito l'intervento "la figura del consulente si ridefinisce transitando da esperto di contenuti tecnici specifici a esperto di metodo e facilitatore di processi." (Id., p. 127).
Questa concezione della consulenza trova applicazione per esempio negli interventi finalizzati:

  • al cambiamento e/o sviluppo organizzativo
  • al rafforzamento del senso di appartenenza / adesione alla cultura dell'impresa, nel quadro di una più ampia politica di "marketing interno" o Responsabilità Sociale d'Impresa.

Il Counseling Filosofico si differenzia infatti sostanzialmente dalle relazioni d'aiuto di matrice psicosociale sotto numerosi aspetti:

  • per la sua concezione di soggetto come "persona" autonoma impegnata in un processo evolutivo che può liberamente e responsabilmente dirigere e controllare, confrontata a problemi di scelta e dunque a questioni di natura morale ed etica;
  • per la sua matrice concettuale non riconducibile ad un unico impianto teorico ma ad una integrazione di saperi e riferimenti metodologici (fenomenologia, ermeneutica, maieutica, genealogia del linguaggio, filosofia biografica…);
  • per il suo approccio costruttivo e non direttivo che facilita l'espressione della soggettività mediante l'autoindagine e la rielaborazione dell'esperienza (educazione al pensiero autonomo, apprendimento a partire dall'esperienza soggettiva concreta...);
  • per le sue finalità di ricerca e scoperta di senso, apertura alla complessità e al riconoscimento delle incertezze e contraddizioni, integrazione in una cornice globale dei campi di conoscenza iperspecializzati e frammentati...;
  • per il suo metodo di pensiero improntato alla riflessione e all'auto-riflessione in grado di favorire i processi di problem-solving e, ad un livello superiore, di problem-finding, con benefici a livello di potenzialità di apprendimento organizzativo;
  • per la sua valenza trasformativa (nei percorsi di "formazione di sé" che si sviluppano attraverso fasi di decostruzione critica dell'ovvio, dei preconcetti ed assunti impliciti, e fasi di rielaborazione chiarificatrice).

Partendo da queste considerazioni sulle specificità del Counseling Filosofico, vorremmo proseguire indicando ulteriori possibili spazi di intervento nell'ambito della consulenza manageriale.

Counseling Filosofico e formazione alla leadership
Abbiamo già accennato alla specificità del mondo imprenditoriale italiano composto da una maggioranza di piccole imprese al governo delle quali troviamo spesso imprenditori che gestiscono, da soli, o al massimo delegando alcune funzioni ai propri familiari, l'intera gamma di compiti organizzazionali e decisionali.
Ora, il dimezzarsi negli ultimi anni del numero di imprenditori in Italia - coloro che gesticono la propria impresa con personale alle loro dipendenze sono passati da poco più di 400.000 nel 2004 a 232.000 nel 2011 (fonte: ISTAT) -, pare avvalorare l'ipotesi della possibile "impreparatezza" di questi nell'affrontare gli imperativi di cambiamento posti dalle sfide della complessità, tanto da un punto di vista di competenze che culturale, al di là delle già menzionate criticità connesse alla dimensione dell'impresa.
Il fare impresa implica infatti conseguire dei risultati, il profitto, necessari per garantire la continuità dell'attività e creare ricchezza per la collettività. Implica altresì precisi doveri etici, che sono "... [il] rispetto delle regole, sia di quelle esplicite e imposte dal diritto, sia di quelle implicite e raccomandate dell'etica" (Capotosti R., 2011, Prefazione).
Si pone quindi la questione di una idonea formazione imprenditoriale che possa rispondere ai bisogni specifici dei "capitani d'impresa" in tema di obiettivi e contenuti: capacità manageriali, organizzative, di problem-solving, sociali ed interpersonali ecc..., oltre che di metodi formativi.

Nell'ambito della formazione manageriale, il tema della leadership occupa un posto di rilievo in ragione della complessità delle sfide che i dirigenti d'impresa si trovano oggi ad affrontare.
La parola "leader" proviene, è assai noto, dall'inglese "to lead" che significa "guidare".
Dagli anni Venti la leadership è oggetto di una vasta ricerca teorica e pratica ad opera delle scienze psicosociali. Tuttavia, al giorno d'oggi, non esiste una definizione condivisa del "leader" o della "leadership", anche che se sembra delinearsi una figura modello di "manager-leader", in grado non solo di raggiungere dei risultati che da lui si attendono, ma che deve al contempo essere visionario e creativo, stratega e possibilmente carismatico. All'inizio si pensava il leader come un "grande uomo", cioè un soggetto dotato di carisma e popolarità tale da poter "guidare" la forza lavoro. Questa è la concezione miticizzata del "leader naturale" che è tuttora viva nell'immaginario popolare.
Parallelamente si è progressivamente fatta strada la convinzione - oggi largamente diffusa sebbene solo tra gli studiosi - che "leader non si nasce, ma si diventa", ovvero che si possa in qualche modo imparare a diventare un leader, il ché non significa ancora che si possa insegnare la leadership.

Le teorie dell'apprendimento in generale sono tuttora alle prese con questioni teoriche tutt'altro che irrilevanti che riguardano, ad esempio, il rapporto tra conoscenze innate e acquisite, o l'interdipendenza tra processi di apprendimento e altri processi come la memoria o l'attenzione.
Peraltro "[...] è facile riconoscere come ciò che si può insegnare rappresenti solo una parte di ciò che si può imparare; ... ciò che si può imparare (nel senso del processo pedagogico) sia solo una parte di ciò che si può apprendere (nel senso dell'esperienza soggettiva)" (Guaglino G. P., 2005, p. 33).
Esiste inoltre sempre uno scarto tra obiettivi, contenuti, metodi di formazione e effettivo apprendimento. "L'identità tra apprendere e imparare ... è da escludere nel senso che l'imparare è solo una delle forme dell'apprendere" (Id.,p. 71). Si può infatti apprendere in tanti altri modi: per imitazione o influenzamento, per "programmazione" comportamentale...
Nel campo della formazione manageriale in generale, e della formazione alla leadership in particolare, gli obiettivi della formazione possono riguardare diverse aree: conoscenze, capacità e atteggiamenti o, per riprendere la terminologia attualmente, le aree del sapere, saper-fare e saper-essere. Poche sono le offerte formative, specie quelle imperniate sui metodi tradizionali (i corsi in aula vengono progressivamente abbandonati per lasciare spazio a metodi più interattivi e stimolanti), in grado di soddisfarle tutte contemporaneamente.
Nacamulli vede la relazione di Counseling come uno dei metodi emergenti di grande interesse per la formazione alla leadership in ragione della sua valenza trasformativa fondata sulla rielaborazione soggettiva dell'esperienza.
Quaglino sottolinea nella formalizzazione della sua "Teoria Generale della Formazione" il potenziale di metodi formativi emergenti, come quelli esperienziali (che implicano cioè un'azione concreta come lo sperimentare) e riflessivi (che richiedono da parte del soggetto una analisi ed elaborazione di contenuti, spesso proprio a partire dall'esperienza), atti a favorire il massimo coinvolgimento del soggetto che apprende. Nacamulli cita Quaglino che a sua volta attribuisce al processo di Counseling un intento "trasformativo" che "[...] si fonda sul sostegno dato al soggetto nel bilancio complessivo tra la propria immagine presente (il saper essere leader e il saper fare leadership), quella potenziale (nel duplice senso di ciò che "è permesso essere/fare" e ciò che attraverso un'analisi realistica "si" concede di essere/fare), quella desiderata e perseguita (il voler essere e il voler fare) e, infine, quella imposta (nel senso del "dover" essere e del "dover" fare, interiormente o esteriormente)" (Nacamulli R. C.D., 2011, p. 65).
Un simile processo di trasformazione all'interno di un percorso di Counseling Filosofico avverrebbe quindi attraverso la possibilità di sviluppare un modello personale di leadership, frutto della sintesi tra modelli "ereditati" (spesso legati al mito del "superuomo" trasmessi dalla cultura) e "insegnati" (attraverso percorsi precostruiti oggetto di corsi di formazione sulla leadership), tra il riconoscimento del personale significato attribuito alla leadership, la responsabilizzazione nei confronti del proprio potere e del modo di esercitarlo, tenendo conto per l'appunto delle esperienze vissute in prima persona e delle aspirazioni proprie. Inoltre consentirebbe di pervenire ad una più profonda conoscenza di sé, del proprio sistema di credenze e valori - quindi della propria filosofia personale -, dei propri limiti, prendendo in carico la dimensione psicologica attraverso la gestione di paure, meccanismi difensivi o conflitti interiori.

Conclusione
"Accusare gli altri delle proprie disgrazie è la prova dell'umana ignoranza;
accusare se stessi significa cominciare a capire; non accusare né gli altri né se stessi è vera sapienza."
Epitteto
In questo articolo abbiamo visto che il Counseling Filosofico può configurarsi come una particolare tipologia di consulenza aziendale orientata alla crescita professionale e personale degli attori organizzativi.
Per le sue valenze formative e trasformative, un percorso di Counseling Filosofico può rappresentare un metodo ad alto potenziale per imparare a diventare leader, attraverso la riflessione a partire dall'esperienza concreta e personale, e rispondere ai bisogni dei "leader d'impresa" confrontati, spesso senza idonea preparazione, con l'imperativo di guidare un processo di cambiamento in un contesto turbolente e ormai privo di senza riferimenti stabili.

* Dr.ssa Jocelyne Hatzenberger

Counselor Filosofico diplomato SSCF, consulente aziendale in ambito marketing e comunicazione.
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