Nuova Rivista di Counseling Filosofico N°14 | Dr.ssa Giuliana Leocata



DAT: il tema del recupero della soggettività tra autonomia e narrazione del sé


Abstract

Dopo soli 41 anni dall’approvazione della prima legge sul biotestamento nel 1976 in California, è stato approvato nell’identico testo da camera e senato italiano, il 22 dicembre, 2017, il testo di legge: Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento.
L'applicabilità della legge evidenzia la mancanza di una metodologia univoca circa il processo di recupero della dimensione soggettiva dei pazienti intestatari di una volontà testamentaria; ritengo, dunque, necessario analizzare i passaggi che intercorrono dalla stesura all’impiego di una DAT, in una prospettiva fenomenologica esistenziale.
È l'individuo che redige liberamente una DAT, decidendo ora per allora, la stessa persona, non più in grado di esprimersi, per cui sono state redatte le disposizioni? Scopo del presente lavoro è offrire una lettura filosofica di tipo etico alla questione ontologica che la malattia può sollevare.

Parole chiave: identità – alterità - fine-vita - bioetica - fenomenologia

Il presente lavoro ha come riferimento base l’art 4 della legge 219 dal titolo:

“Disposizioni anticipate di trattamento”

Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un'eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché' il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari. Indica altresì una persona di sua fiducia, di seguito denominata «fiduciario», che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie–Comma 1

Il fiduciario deve essere una persona maggiorenne e capace di intendere e di volere. L'accettazione della nomina da parte del fiduciario avviene attraverso la sottoscrizione delle DAT o con atto successivo, che è allegato alle DAT. Al fiduciario è rilasciata una copia delle DAT. Il fiduciario può rinunciare alla nomina con atto scritto, che è comunicato al disponente.–Comma 2

L'incarico del fiduciario può essere revocato dal disponente in qualsiasi momento, con le stesse modalità previste per la nomina e senza obbligo di motivazione.–Comma 3

Nel caso in cui le DAT non contengano l'indicazione del fiduciario o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto o sia divenuto incapace, le DAT mantengono efficacia in merito alle volontà del disponente. In caso di necessità, il giudice tutelare provvede alla nomina di un amministratore di sostegno, ai sensi del capo I del titolo XII del libro I del codice civile.–Comma 4

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Immaginando di trovarci di fronte ad una situazione specifica che veda un individuo porsi nella condizione di sottoscrivere una disposizione, è possibile mettere in atto un ragionamento pratico, in senso fronetico, per comprendere in che modo certe scelte portino a certe conseguenze, soffermandoci su chi sia il soggetto che fa esperienza di una DAT?

Un sapere pratico di questo tipo si basa su di un ragionamento ben lontano dalle regole scientifiche e giuridiche, precise e replicabili, per caratterizzarsi, invece, come sapere contingente e in continua ridefinizione.

Premesso ciò, l’approccio filosofico che si presta maggiormente a questa praticabilità del sapere è di tipo fenomenologico, proprio per la specialità di superamento del dualismo soggetto/oggetto nei processi di conoscenza e riconsiderazione del ruolo del soggetto nella conoscenza di quegli oggetti. Purtroppo, o per fortuna, la sola conoscenza sperimentale non è sufficiente se il fine è arrivare al ‘personale’ del soggettivo, ovvero a quel nucleo di unicità che sottoscrivendo una volontà dice chi siamo. Spiegazione e comprensione non sono, dunque, due processi separati, ma complementari e mai come nel caso delle Dat questa urgenza di complementarietà si rende necessaria perché il soggetto d’azione è lo stesso oggetto in questione.

L’orizzonte che definisce lo spazio entro cui ci si muove è chiaramente etico già nel semplice problematizzare su quale sia la strada migliore da percorrere per la profonda comprensione della dimensione umana dell’esistenza nella malattia, toccando temi riconducibili alle parole chiave di : identità, alterità, fine vita, bioetica e fenomenologia.

La questione dell’autonomia come presupposto al consenso

Cosa spinge un uomo a redigere una disposizione di volontà? Volendo non distinguere necessariamente tra chi sottoscrive una DAT pur non trovandosi affetto da una patologia degenerativa né in una condizione di progressiva perdita di capacità d’intendere e volere, ma avvalendosi di un diritto divenuto legge, e chi invece, a causa di una malattia infausta o nella piena consapevolezza di trovarsi vicino alla fine della propria esistenza, sceglie lucidamente di tracciare autonomamente una volontà, qual è l’elemento filosofico che accomuna entrambi i soggetti agenti?

In entrambi i casi, credo che ci si trovi a che fare con l’autonomia, ovvero la capacità dell’individuo di autoregolarsi consapevolmente nel pieno possesso di sé anche in prospettiva di un tempo esistenziale che sembra negare ogni possibilità di libertà decisionale sulla propria vita.

La costruzione della propria specificità dev’essere libera, personale, originale, e assicurata in tutte le stagioni della vita, come esercizio naturale e sociale autopoietico.
In termini bioetici l’autonomia va intesa sia come diritto per il paziente di scegliere le cure terapeutiche da poter intraprendere che come principio supremo per valutare autenticamente una scelta morale, perché per agire bene non è necessario solo fare ciò che è giusto, ma bisogna sceglierlo autonomamente senza vincoli o costrizioni (ciò che Kant definirebbe coscienza morale, autonoma e legge a sé stessa). Adesso, volendo considerare entrambe le eccezioni, nel contesto testamentario di una DAT, in che senso andrebbe considerata l’autonomia, come un punto di partenza o di arrivo? Ovvero, un soggetto è autonomo perché come sovrano di sé sottoscrive una disposizione prima di cedere al suo ruolo di agente, o è autonomo dopo, nel momento in cui persa anche e soprattutto la possibilità di acconsentire o meno ad un intervento sanitario, usufruisce di una sottoscrizione che lo rende ancora soggetto attivo?

Bioetica e Counseling Filosofico

Probabilmente dovremmo parlare d’autonomia come un processo di discernimento critico su ciò che ci concerne giacché persone libere di potersi autoaffermare da sé e la nostra capacità di autoregolarci in rapporto al mondo circostante che ci riguarda da vicino e da cui non possiamo prescindere. Collocare l’autonomia all’origine di una scelta o soffermarsi sulle conseguenze che una scelta presa può rivendicare su noi stessi, credo sia una questione da trattare singolarmente per ogni caso.

In linea con questo ragionamento Ricoeur si riferisce all’autonomia in “Soi-même comme un autre” come un cammino che conduce il soggetto ad essere sé stesso partendo dal riconoscimento di una norma oggettiva che deve essere interiorizzata in forma di legge morale (il rispetto di sé) per diventare prospettiva etica (la stima di sé) nel momento in cui quella norma stessa si coniuga col desiderio umano. Lo scopo è armonizzare il tono kantiano e quello aristotelico per mettere in dubbio l’autonomia dell’autonomia:

“Nella distinzione fra prospettiva e norma si riconoscerà facilmente l’opporsi di due eredità, un’eredità aristotelica, in cui l’etica è caratterizzata dalla sua prospettiva teleologica, e una eredità kantiana, in cui la morale è definita dal carattere di obbligazione della norma, dunque da un punto di vista deontologico. (…) Fra le due eredità si stabilirà, piuttosto, un rapporto che è, ad un tempo, di subordinazione e di complementarietà” (Ricoeur 2015, pp. 264-5) “in effetti, la volontà non è altro che la ragione pratica, comune per principio a tutti gli esseri razionali; per la sua costituzione finita, essa è empiricamente determinata da inclinazioni sensibili. Ne risulta che il legame tra la nozione di volontà buona e la nozione di un’azione compiuta per dovere è talmente stretto che le due espressioni diventano sostituibili l’una all’altra” (Ricoeur 2015, p. 305).”

Ma proprio tra il piano ideale e il piano sensibile, l’idea di rimanere fedeli a se stessi pone un problema di duplice menzogna: da un lato, dire nel presente che si manterrà fede a qualcosa nel futuro, sarebbe come supporre arbitrariamente che il mio modo di sentire non subirà variazioni, cosa che non mi è dato potere di istituire; dall’altro lato, concepire una disposizione come anticipazione a compiere un atto, il quale non rifletterà me stesso nel momento in cui si verifica, significherebbe impegnarmi in qualcosa che non posso garantire. Da questa dialettica Ricoeur trae la conclusione che non è a se stessi che si è fedeli, ma a un ‘altro’, in modo che ogni impegno sia una risposta. Più che morale dell’autonomia, si dovrebbe parlare di morale di disponibilità, ovvero decentramento di sé verso l’altro in una prospettiva di interdipendenza reciproca: come rottura del solipsismo e inesorabile concretezza dei rapporti umani che non possono lasciarsi ricondurre a modelli generalizzabili.

L’autonomia Ricoeurianamente intesa sembrerebbe realizzabile solo attraverso qualcos’altro rispetto al soggetto stesso di riferimento, come ad affermare che essa esista solo dentro una relazione che coinvolga altro da sé che esaudisca, o meno, la propria libera volontà espressa, in cui la responsabilità dell’agire esterno, in risposta al mio, supera e precede la mia libertà, la mia stessa volontà e l’orizzonte etico prevale su quello ontologico.

Filosofo Paul Ricoeur

Ricoeur elabora un pensiero che rileva gli aspetti conflittuali dell’esperienza umana che tende alla realizzazione di un’unità complessiva senza, tuttavia, concluderla, definirla. L’esperienza umana è dunque apertura dell’uomo ad altro da sé, che lo riconduca a sé. In ripresa del tema del riconoscimento hegeliano, l’intera filosofia di Ricoeur muove, quindi, verso una concezione del soggetto la cui identità non è un dato immediato, autodeterminato dall’io, ma il risultato di una dialettica tra sé ed altro. Conoscersi è dunque un riconoscersi attraverso altro da sé.

Autodeterminarsi nella malattia

Solo un soggetto autonomo, nel pieno possesso di tutte le sue facoltà decisionali, ovvero cosciente del significato delle sue azioni, e libero da vincoli e coercizioni, può autodeterminarsi estendendo la sua autonomia anche nella fase della malattia attraverso il libero consenso informato.
Dalla struttura del consenso informato, come prerequisito necessario per ogni trattamento terapeutico, si può dedurre l'esistenza del diritto all'autodeterminazione riguardante la scelta dell'assistenza medica.
Il suggerimento di auto-determinazioni terapeutiche, oggi, può stabilire una sorta di connessione tra ciò che è lecito e illecito: l'autodeterminazione, cioè, rispetto alla propria salute. Solo un soggetto che nega i propri diritti può decidere il contenuto del diritto stesso riguardo alle sue proiezioni e all'idea che l'individuo ha di se stesso. La delimitazione dei confini delle cure mediche è complessa a causa dell'aspetto concreto dei trattamenti medici che influenzano fisicamente l'integrità dell'uomo; a tal proposito, il consenso o il dissenso è legittimo e lecito anche nei casi d’incapacità di volere, se espresso in anticipo e regolato.

L’ipotesi che nell’evoluzione della malattia la possibilità, per un soggetto, di autodeterminarsi diminuisca fino a scomparire, costituisce quello che secondo me andrebbe considerato come una delle ragioni per cui le DAT rappresenterebbero un valido elemento di tutela della libera espressione della volontà umana qualora si riesca a mettere a punto una metodologia eticamente valida di recupero della soggettività in questione. Tale compito potrebbe, a mio parere, essere assicurato solo dalla filosofia che con le questioni di senso, trattate ermeneuticamente e fenomenologicamente, ha una certa dimestichezza di ragionamento.
Malgrado qualsiasi identificazione con questo o quel progetto, malgrado qualsiasi efficienza, l’uomo è anche la sua disfunzionalità: l’assenza rispetto al proprio volere e potere qualcosa, il sentimento di non appartenenza ad un piano. Nel caso delle Dat, questa impossibilità viene sconfitta sul tempo: decido, ora che posso, sul mio corpo per quando non potrò più farlo, anche se ciò presuppone che la persona che sottoscrive una disposizione sia la stessa che ne benefici la scelta.

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Gli esisti della mia ricerca vertono sui contributi che una visione filosofica può offrire alle tematiche di fine vita come quella dell’utilizzo di una disposizione di volontà per un libero cittadino. Considerare l’integrità della vita umana nel suo complesso, soprattutto nella fase della malattia, quando le logiche d’equilibrio tra l’io e il mondo hanno perso di razionalità, significa praticare un lavoro ontologico che riduca l’essere alla sua essenza. Nel caso delle DAT, credo, insieme ad una fortissima tradizione filosofica del 900, che l’identità-idem sostanziale di una persona non possa mutare col tempo delle trasformazioni, perché, come sosterrebbe Ricoeur, l’identità non è un processo chiuso e determinato una volta per tutte, ma è piuttosto una dialettica di superamento tra medesimezza ed ipseità; il soggetto deve imparare a conoscersi come soggetto in perenne tensione, apertura, rispetto alle molteplici possibilità di diventare se stesso nel rapporto con gli altri.


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