Il dialogo interiore. Pensare e Filosofare. Pensare fa esistere le cose

di Prof. Lodovico E. Berra *, Medico specialista in psichiatria, psicoterapeuta
Direttore della Scuola Superiore di Counseling Filosofico e dell' Istituto Superiore di Filosofia, Psicologia, PsichiatriaISFiPP
Torino

Spesso riflettiamo su cosa caratterizzi il lavorare filosoficamente, nel counseling e nella psicoterapia, rispetto ad altri tipi di interventi. In altro luogo abbiamo identificato una delle principali caratteristiche di questa modalità nel cosiddetto atteggiamento filosofico, inteso come un modo di porsi di fronte alla vita e alle sue questioni. Inoltre abbiamo sostenuto che il metodo di lavoro filosofico sia ben diverso da altri, per esempio da quelli di tipo psicologico. Vi sono infatti molti e differenti metodi specifici della filosofia, utili nella relazione d’aiuto, quali per esempio il metodo maieutico, fenomenologico, ermeneutico, dialettico.

Atteggiamento e metodo filosofico si basano su un determinato modo di vedere, percepire ma soprattutto di pensare.

Il counselor accompagna il cliente in un processo di pensiero, che ha metodo, ma che anche risente della sua personale struttura psichica e modo di pensare. Questo è in gran parte dipendente da quella che chiamiamo Visione del Mondo, poiché essa influenza il modo di pensare così come, in modo speculare, il modo di pensare struttura ed anima la Visione del Mondo. Vi è quindi un rapporto reciproco e dinamico tra la serie di valori, principi, idee che costituiscono la Visione del Mondo e il modo di pensare dell’individuo.

Per Heidegger i filosofi sono i pensatori poiché il pensiero si sviluppa propriamente nella filosofia. Il pensiero è quindi un aspetto centrale e fondamentale dell’attività filosofica ed è quindi necessario chiarire che cosa esso sia e come possa influenzare la visione del mondo, la visione dell’esistenza e quella dello stesso individuo.
Il pensiero può essere definito un’attività mentale complessa, che si manifesta attraverso numerosi fenomeni quali il ragionamento, la riflessione, l’immaginazione, il fantasticare, l’organizzazione dei ricordi, che permettono di comunicare con se stessi, con il mondo esterno e con gli altri, nonché di costruire ipotesi sul mondo e sul nostro modo di pensarlo.

Il filosofo pensa e spesso siamo attenti solo alle conseguenze del pensiero, ai risultati del pensare, alle domande e alle risposte che esso arriva a formulare. Le domande e le inquietudini intellettuali che noi viviamo in realtà non sono altro che il risultato di quella funzione psichica che è il pensare, che ci consente di esistere e di avere consapevolezza della nostra esistenza.

Noi siamo il nostro pensare.
Attraverso il nostro pensiero costruiamo la nostra esistenza interiore e condizioniamo la nostra vita esteriore.

Se così non fosse, la vita psichica sarebbe molto più semplice ed elementare. Se eliminassimo il nostro pensare, i pensieri che scorrono dentro di noi, ci rimarrebbe una mente in cui fluiscono in modo disordinato immagini, sensazioni, suoni, riflessi, oppure vuoto e silenzio. Il silenzio della mente implica quindi una sospensione del pensare. Senza pensiero non ci può più essere filosofare.

Il dialogo interiore

Filosofare è pensare. Ma pensare è parlare, un parlare silenzioso dentro noi stessi, un continuo dialogo interno.

Parlare richiede un linguaggio, una grammatica, parole in successione, frasi che esprimano concetti o fatti. Fino a quando non formuliamo in modo grammaticalmente corretto un concetto esso non esiste.

Pensare fa esistere le cose.

Esse possono esistere in noi ad uno stadio embrionale, ma fino a quando non sono espresse in un linguaggio esse non esistono. Un sentimento, un’idea, si realizzano, esistono, solo nel momento in cui le si nomina. A volte vi sono sentimenti per cui non esistono parole che li possano descrivere in modo adeguato, e nella impossibilità di esprimerli possono dare l’impressione di non ancora esistere.

Nel tentativo di dar corpo alle cose il nostro pensiero non può far altro che cercare parole che si avvicinino al loro significato, a volte con il rischio di stravolgere o perdere il senso originario.
Lo stesso scrivere ha funzione organizzatrice poiché, nello sforzo di compilare frasi corrette e connesse tra loro, induco la mia mente a riordinare pensieri, a dargli forma. Vi è quindi un rapporto diretto tra pensare, parlare e scrivere. Ciò che scrivo riflette il mio pensare e contribuisce a dargli ordine. Più lo scritto è complesso, più lo è anche il pensare. Ma più il pensiero è complesso, più esso tende ad essere falso, più esso si lascia prendere dai sottili meccanismi mentali e dalla spinta all’ astrazione, più sarà lontano dalla realtà che cerca di esprimere.

Quindi quando penso, parlo secondo un linguaggio che rispetta regole, suoni e grammatiche. Sebbene, come sosteneva Chomsky, le lingue naturali abbiamo una struttura naturale in gran parte comune, è possibile che l’utilizzare linguaggi diversi comporti un pensare diverso.
Secondo la teoria della relatività linguistica di Sapir-Whorf5 sono le strutture della lingua a condizionare, modellare e strutturare il nostro universo mentale e cognitivo, vale a dire il nostro pensare interiore. Di qui ne deriva che il mondo è concepito in modo diverso da coloro che si servono di lingue diverse, e la differente struttura delle lingue può essere la causa delle diverse concezioni del mondo.

Il filosofare solitario o condiviso

Il pensiero, base del filosofare, può essere un fenomeno che si sviluppa interiormente oppure il risultato dell’interazione e condivisione verso l’esterno, con l’Altro. Vi è un rapporto dinamico e reciproco tra il dialogo interiore e quello esterno, nel senso che ciò che avviene all’interno del soggetto (counselor o cliente) si intreccia e si sviluppa nell’interazione con l’Altro. Ne emerge un effetto diverso in quello che possiamo chiamare pensiero condiviso. Nella coppia e nel gruppo si sviluppano pensieri nuovi e diversi rispetto a quello che accade nel pensare isolato e solitario. Ogni interazione è unica ed esclusiva così come il risultato che ne deriva. Ogni rapporto, duale o di gruppo, è un terreno diverso in cui si possono produrre nuovi pensieri e nuove filosofie.
Ma non possiamo dire che l’uno sia più importante dell’altro in quanto solo nella loro alternanza e sovrapposizione può avvenire un risultato significativo.

Questo scambio di pensieri che produce nuovi pensieri, avviene prevalentemente (anche se non esclusivamente) attraverso parole. Attraverso queste vengono comunicati stati d’animo, tramite frasi si espongono problemi, utilizzando un linguaggio si esamina e discute, dialetticamente si elaborano situazioni. Attraverso parole agiamo sul pensiero, e con esso sugli eventi. La parola infine influenza il modo d’essere nel mondo.

Quando pensiamo è il linguaggio che parla dentro di noi, è la costruzione grammaticale insieme alla sequenza di suoni mentali che forma il nostro pensiero. Quando parliamo con Altri è attraverso un linguaggio che comunichiamo idee, concetti e sentimenti.
Ciò che accade nella relazione dialettica con il cliente, segue inevitabilmente quello che accade all’interno del counselor; è nella sua organizzazione mentale, nella sua riflessione intima che si sviluppa la modalità di intervento. C’è nella relazione filosofica un continuo rapporto tra Io-con me stesso ed Io-con l’altro. Quello che avviene nella relazione risente di ciò che accade dentro me stesso. Questa è regola comune nei rapporti intersoggettivi, ma acquisisce maggior valore ed importanza qualora il pensiero interno debba guidare l’altro verso la ricerca di soluzioni e riposte esistenziali. Da qui ne deriva l’estrema importanza della qualità di pensiero del counselor, che deve essere pulita, chiara e ben delineata. Un pensiero confuso, istintivo, emotivo può anche funzionare ma non è in grado di garantire affidabilità e sicuro sostegno.

Possiamo quindi dire che il dialogo esterno riflette il dialogo interno del counselor, che rappresenta la guida e il riferimento per un corretto processo di pensiero all’interno della relazione d’aiuto.

Per garantire un adeguato e giusto pensare dobbiamo quindi richiedere al professionista una profonda conoscenza di sé, del proprio modo di essere e di pensare, della propria Visione del Mondo, della propria filosofia, dei propri punti deboli e forti, delle proprie attitudini e contro-attitudini, dei propri problemi personali, risolti o irrisolti. Questo non può che avvenire attraverso un percorso di formazione personale, che agisca nella profondità dell’individuo e nella sua consapevolezza interiore, ma che comprenda anche un confronto costante con altri professionisti, con un continuo esercizio della filosofia.

( estratto - Nuova Rivista di Counseling Filosofico, N°13/2017)
Prof. Lodovico E. Berra
* Prof. Lodovico E. Berra

Medico specialista in psichiatria, psicoterapeuta, direttore dell’ Istituto Superiore di formazione e ricerca in Filosofia, Psicologia, Psichiatria, ISFiPP Torino, docente di "Teoria e Metodologia della pratica filosofica" e di "Psicopatologia e Psicologia clinica" e dal 2005 è professore stabilizzato di “Psicologia Biologica e Neuroscienze” presso IUSTO Rebaudengo, sede della Facoltà di Scienze dell' Educazione, Università Pontificia Salesiana, direttore del Master di specializzazione in Counseling Filosofico, presidente fondatore della Società Italiana di Counseling Filosofico (SICoF) e della Società Italiana di Psicoterapia Esistenziale (SIPE), autore di numerosi lavori scientifici nel campo della psichiatria e della psicoterapia.
www.lodovicoberra.it